Dopo la leggenda della Principessa Saracena, un’altra delle leggende che si tramandano è quella dello jus primae noctis, e risale al periodo settecentesco. Il diritto della prima notte, sarebbe appunto, il diritto appartenuto ad un feudale di sostituirsi al proprio servo, durante la prima notte di nozze.
Non esistono fonti che ne dimostrino la veridicità, e probabilmente questo diritto non è altro che una tassa da pagare in caso di matrimonio.[1]
La leggenda è ambientata nella frazione di San Marco di Castellabate alla fine del 1600 e inizi 1700. La popolazione a quei tempi, viveva principalmente di pesca e agricoltura, e quest’ultimi esercitavano il mestiere di agricoltori, su terre di proprietà del feudatario in qualità di coloni.
Teresa è il nome della bella contadina che con la sua famiglia, lavora nelle terre del signorotto. Francesco Cipullo invece, è il nome del contdino innamorato di Teresa e che voleva sposare. Man mano che il giorno delle loro nozze si avvicinava, Francesco sentiva il peso del diritto di prima notte, al punto di preparare un piano per attentare alla vita del nobile.
Daccordo con i fratelli di Teresa, pensarono di farlo durante la festa che il Marchese organizzava nella sua tenuta. Il piano consisteva nel distrarre i soldati allontanandoli dalla tenuta, mentre gli altri si occupavano del Marchese. Il compito di attirare i soldati era destinato al fratello più piccolo, che sparando col fucile, avrebbe attirato verso di se i militari. Dopo di che gli altri fratelli, si sarebbero introdotti nella torre, eliminando il nobile tiranno.
Arrivato il giorno della festa, uno dei fratelli come da accordo, si posizionò sulla collina, mentre gli altri si mischiarono alla popolazione. Una volta fuori dal balcone, il fratello di Teresa esplose il colpo, che per sfortuna mancò di poco il centro, ferendo leggermente il nobile. Il ragazzo, fallito il colpo, scappò, mentre i fratelli salirono verso le stanze del Marchese per eseguire il piano.
Francesco e i fratelli di Teresa però non riuscirono a compiere il piano, furono fermati ed arrestati. Condannati a morte per decapitazione, fu la sentenza del tribunale. Uno dopo l’altro, in pubblica piazza, furono uccisi dal boia. Le teste dei sette ragazzi furono esposte come monito per chi volesse ribellarsi.
A distanza di tempo, quando ormai la vicenda era finita nel dimenticatoio, arrivò la notizia della morte del Marchese. Il nobile per far perdere le proprie tracce dall’ultimo fratello ancora latitante, si era rifugiato in puglia. Aveva usato come stratagemma, quello di far ferrare i cavalli al contrario, in modo da dare tracce errate.
Nonostante tutto, il giovane lo trovò, e gli sparò a breve distanza uccidendolo. Nonostante la notizia le avesse reso giustizia, la ragazza non riusciva a rassegnarsi per la perdita dei fratelli e del suo amore.
Fonte: Castellabate e dintorni – ieri e oggi di Angelo Raffaele Amato.
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